L’estetica del corpo magro e l’anoressia

In Germania, il termine più usato per indicare l’anoressia è Pubertäsmagersucht, traducibile con “mania adolescenziale per la magrezza” o “dipendenza da magrezza”.

Le anoressiche, infatti, sono ossessionate dalla loro forma corporea e dalla ricerca della magrezza perciò passano ore davanti allo specchio ad ispezionare la propria immagine alla ricerca dell’odiato difetto: il grasso.

Risulta ormai evidente che in Occidente, l’ideale della magrezza si configura sempre di più come un imperativo. L’anoressia nervosa è, infatti, sta definita come culture-bound syndrome da Prince (1983), intendendo con ciò una costellazione di sintomi che non si trovano universalmente nella popolazione umana, ma sono ristretti ad una particolare cultura o gruppo di culture.

L’idealizzazione della magrezza e l’attenzione al peso corporeo sono parte della cultura occidentale dall’inizio del Novecento, ma Gordon (1991) ritiene che sia soltanto dalla Seconda Guerra Mondiale e soprattutto dagli anni Sessanta che le diete e la magrezza siano diventate una vera e propria ossessione culturale di massa. Poiché i disturbi dell’alimentazione sono dominati dall’ansia per il peso e per la forma, risulta evidente per Gordon, che l’ideale della magrezza sia un fattore rilevante nell’aumento della prevalenza di tali disturbi. Lo studio più noto che documenta la diffusione crescente dell’ideale della magrezza, fa parte di una serie di importanti ricerche condotte in America da David Garner e Paul Garfinkel (1981) con la loro équipe.

Essi partono dal presupposto che il disturbo anoressico-bulimico sia un disturbo pluridimensionale per cui appare possibile rintracciare nella sua espressione un riferimento al sistema sociale e microsociale, intendo con quest’ultimo termine la famiglia, in quanto unità costitutiva del sistema sociale.

Nello studio in esame per vent’anni, a partire dagli anni Sessanta, presero in considerazione due modelli di bellezza femminile: le vincitrici del concorso per l’elezione di “Miss America” e le “Playmate del mese” della rivista Playboy, registrando in entrambi i casi, non solo una diminuzione graduale del peso delle modelle durante il periodo considerato, ma anche una riduzione delle curve. Dalle ricerche, risultò inoltre, che mentre il modello della magrezza diventava un imperativo, il peso medio della donna americana era costantemente in aumento.

Questa contraddizione fra peso ideale e peso reale ha, secondo Gordon, un ruolo molto importante nell’aumento della prevalenza dei disturbi dell’alimentazione.

Per comprendere l’importanza attribuita all’aspetto fisico, caratteristica del nostro tempo, è necessario tenere conto dello sfondo sociale complessivo, in cui l’esteriorità, l’apparenza e l’immagine hanno un ruolo sempre più rilevante. Ricerche attuali dimostrano che, i valori della cultura occidentale per le donne riguardano l’apparenza, l’ideale di un corpo magro e della magrezza come assicurazione di successo e di soddisfazione nella vita (Rodin et al. 1986; Stice, 1994).

 

Ma quali sono le ragioni storiche e culturali del valore oggi attribuito alla magrezza?

Gli studi transculturali indicano che, nella maggioranza delle culture umane, l’essere grassi è stato preferito alla magrezza, soprattutto per le donne. La prima spiegazione è di ordine economico: nelle società in cui le risorse sono scarse e le ricchezze sono limitate, il corpo grasso è oggetto di ammirazione in quanto simbolo di ricchezza e di scorte abbondanti. Le preferenze sul peso corporeo, tuttavia non sono da considerare risultato di fattori prettamente economici perché su di esse ne intervengono altri come il ruolo della riproduzione. Il rapporto fra grasso e riproduzione si può cogliere nei rituali africani della “cerimonia di ingrasso” e delle “capanne per l’ingrasso”, un tempo diffuse nell’Africa centrale e orientale. Dopo la pubertà, le ragazze venivano intenzionalmente supernutrite, cosicché i loro corpi potevano essere mostrati alla comunità come simbolo di buone condizioni economiche della famiglia ed ottime capacità riproduttive della ragazza.

In Europa Occidentale e negli Stati Uniti l’ideale della magrezza si è affermato soltanto nel XX secolo che è stato definito da Bennet e Gurin (1982) “il secolo della snellezza”. Sembra che alla fine dell’Ottocento il significato simbolico della magrezza fosse collegato all’idea di classe sociale per cui l’essere minuti, l’avere mani e piedi delicati era considerato l’ideale di bellezza fra le donne ricche.

Hilde Bruch (1977) descrive il caso di una ragazza anoressica, di famiglia appartenente all’alta borghesia, che riteneva che essere grassa significasse essere sfruttatori: “Se sei magra non pensano che tu sia ricca e abbia una vita tanto facile. Chi è grasso è come i re medievali; ricchi e potenti, non fanno nulla e tutti lavorano per loro. Se hai l’aspetto esausto e lo sei, dimostri che lavori molto, e altrimenti mi sento così immeritevole” (Bruch, 1977, pag 129).

L’obesità fu sottoposta ad aspre critiche a partire dai primi decenni del XX secolo, e il problema del controllo del peso divenne già in quegli anni un pesante fardello a cui adeguarsi.

Fu solo negli anni Venti che il tipo corporeo piatto, sottile venne adottato in massa dalle donne desiderose di ascendere la scala sociale. Secondo Bennet e Gurin, il credo della ragazza indipendente era chiaramente in contrasto con il ruolo materno. Il corpo androgino, maschile della ragazza indipendente è l’anticipazione della figura piatta che doveva riaffermarsi negli anni Sessanta.

Dopo le Seconda Guerra Mondiale, in un periodo di contrazione dei consumi, ritornò di moda (soprattutto nell’ideale maschile) la donna formosa, dal seno abbondante. In questo periodo non scomparve mai del tutto l’attenzione alla linea da parte delle donne, ma sembrò attenuarsi per l’incombere di problemi economici, politici e internazionali per cui avevano il sopravvento sulle preoccupazioni concrete della vita quotidiana.

È negli anni Settanta che si affermò la snellezza come imperativo, una snellezza androgena, quasi da fanciullo in età prepuberale. La cultura di consumo in quegli anni era ossessionata dal culto della giovinezza, perseguitata dallo spettro della vecchiaia e sempre pronta ad appropriarsi delle immagini della “liberazione sessuale”.

A metà degli anni Ottanta si delineò una nuova moda per cui non diminuì l’importanza della magrezza, e contemporaneamente si registrò un ritorno del seno formoso. Questo nuovo modello di bellezza, che è ancora in voga tutt’oggi, potrebbe risultare ancor più distorto, dal momento che un corpo sottile difficilmente può presentare un seno abbondante. Lo dimostra il fatto che sempre più spesso le donne dello spettacolo ricorrono alla chirurgia estetica per adattarsi ai nuovi canoni.

Non va dimenticato in questo contesto il ruolo che assumono i mass media e della moda nel diffondere i canoni attuali di bellezza fisica basati su una magrezza estrema.

 

Bibliografia:

Bennet, W., Gurin, J. (1982). The Dieter’s Dilemma. New York: Harper and Row.

Bruch, H. (1977). Patologia del comportamento alimentare: obesità, anoressia mentale e personalità.

Milano: Feltrinelli.

experiment. International Journal of Eating disorders, 38, 134-142.

Striegel-Moore, R.H., Silberstein, L.R., Rodin, J. (1986). Toward an understanding o

Garner, D., Garfinkel, P.E. (1981). Body image in anorexia nervosa: Measurement, theory and clinical implications. International Journal of Psychiatric Medicine, 11, 263-284

Gordon, R. (1991). Anoressia e bulimia: anatomia di un’epidemia sociale. Milano: Cortina.

Prince , R. (1983). Concept of cultural bond syndromes. Trans. Psychiat. Res. Rev., 22.

Stice, E., Shaw, H.E. (1994). Adverse effects of the media portrayed thin-ideal on women and linkages to bulimic symptomatology. Journal of Social and Clinical Psychology, 13, 288– 308. In Krones, P.G., Stice, E., Batres, B.A., Orjada, K. In vivo social comparison to a thin-ideal peer promotes body dissatisfaction: a randomize f risk factors for bulimia. American Psychologist, 41, 246–263.