Cambiamento e Resilienza

La maggioranza delle persone tende a non amare molto i cambiamenti. La spiegazione più comune è che la situazione precedente, per quanto spiacevole, è comunque in qualche modo un territorio ormai conosciuto, mentre la novità, per quanto possa essere allettante, ha inevitabilmente lo svantaggio di essere un’esperienza sconosciuta e che quindi percepiamo fuori dal nostro controllo perchè non l’abbiamo mai sperimentata prima e non sappiamo come affrontarla.
Questo aspetto diventa limitante anche per cambiamenti riconosciuti razionalmente come positivi, ad esempio quelli che riguardano il nostro benessere psicofisico.
Non è un caso quindi che al cambiamento venga associata quasi sempre un’accezione negativa e, soprattutto, una condizione di rischio, parola alla quale, di solito, vengono associati eventi spiacevoli. Associare ad un possibile cambiamento un miglioramento o un’evoluzione è purtroppo abbastanza raro.
A volte la necessità di un cambiamento è legata all’insorgere di una difficoltà o di un evento che non dipende da noi o dalla nostra volontà (come, ad esempio, la pandemia di Coronavirus che ci ha colpiti da marzo 2020).
Il fatto di poter affrontare tale cambiamento e di poterne “uscire” in maniera positiva e fortificata dipende dal nostro grado di resilienza.
Sicuramente abbiamo tutti sentito parlare di resilienza almeno una volta. E’ una parola che spesso viene usata anche nel linguaggio comune e non è difficile sentire questo termine in televisione o leggerlo in qualche articolo o libro.
In particolare, questo periodo storico ha visto popolazioni intere, a livello globale, soggette ad un cambiamento importante, improvviso e di cui nessuno aveva già fatto esperienza in passato: la pandemia legata al contagio del virus Covid19, che si è espanso in tutto il mondo in maniera drammatica e in tempi abbastanza brevi.
Questa condizione, per forza di cose, ha fatto esperire più o meno a tutti un’esperienza di cambiamento immediato, senza preavviso per cui ci siamo sentiti impotenti, impauriti e fuori controllo.
Le varie fasi sono cambiate nel giro di alcuni mesi, senza che le indicazioni date avessero mai una certezza fondata sulla riuscita e sul contenimento pandemico.
Ecco che in tale situazione di confusione e di emergenza abbiamo potuto sperimentare sulla nostra pelle il grado di resilienza di ognuno di noi e ancora, a distanza di mesi, continuiamo a farlo per adattarci a nuove regole, nuovi comportamenti, nuove emozioni, una nuova vita.

Ma di preciso, che cos’è la resilienza?
Possiamo ritrovarla in vari settori, che non sembrano nemmeno collegati tra loro, ma il significato è il medesimo:
1.In tecnologia, è la capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi.
2.In psicologia, indica la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà.
3.In ecologia e biologia, la resilienza è la capacità di una materia vivente di autoripararsi dopo un danno, o quella di una comunità o di un sistema ecologico di ritornare al suo stato iniziale, dopo essere stata sottoposta a una perturbazione che ha modificato quello stato.

Per ciò che a noi interessa, possiamo quindi dire che la resilienza altro non è che la capacità dell’individuo di fronteggiare una situazione stressante, acuta o cronica, ripristinando l’equilibrio psico-fisico precedente allo stress e, in certi casi, portandolo ad un miglioramento.
In pratica, corrisponde ad un adattamento alle avversità.
In altri termini, può essere vista come la capacità di autoripararsi dopo un danno, di far fronte, resistere, ma anche di costruire e riuscire a riorganizzare positivamente la propria vita, nonostante le situazioni difficili inducano a pensare ad un esito negativo.

Ciò che la distingue da una semplice forma di adattamento è una dinamica positiva, una capacità di andare avanti, nonostante le crisi, permettendo la ricostruzione di un percorso di vita.
Di certo si tratta di un dono inestimabile, ciò nonostante non dobbiamo pensare che ci renda invincibili o che sia una qualità presente sempre e comunque: possono infatti verificarsi momenti in cui le situazioni sono troppo pesanti da sopportare, generando un’instabilità più o meno duratura e pervasiva.
Essere resilienti non significa essere infallibili, piuttosto essere disposti al cambiamento quando necessario, essere disposti a pensare di poter sbagliare, ma anche di poter correggere la rotta, tenendo anche in considerazione che la forza delle battaglie superate predispone l’individuo a lottare con maggior consapevolezza (dei rischi assunti e della probabilità di riuscita) per raggiungere un equilibrio migliore.

Al contrario di ciò che si possa pensare, essere resilienti non significa che la persona non si senta in difficoltà o non esperisca una certa quota di stress; il dolore emotivo, la tristezza e le altre emozioni negative sono frequenti e comuni in tutti coloro che vivono delle avversità o delle situazioni traumatiche.
Avere un alto livello di resilienza significa avere le risorse per riuscire ad affrontare gli eventi stressanti senza farsi sopraffare da essi.
Inoltre, una notevole rilevanza, la riveste anche l’uso della nostra attenzione. Se infatti l’attenzione si fissa sugli ostacoli, sulle difficoltà, sui problemi, più facilmente avremo difficoltà nel proseguire il nostro percorso, l’atteggiamento diventerà passivo e negativo; se invece l’attenzione si concentrerà sul nostro obiettivo e su quanto ci ha portato a sceglierlo, nella soluzione dei problemi saremo sostenuti dalle motivazioni e l’atteggiamento sarà più attivo e risolutivo.
La resilienza non e’ un tratto stabile e immodificabile della personalità, ma viceversa implica una serie di comportamenti, pensieri e atteggiamenti che possono essere appresi, migliorati e sviluppati in ciascun individuo.

Generalmente, con il trascorrere del tempo, le persone trovano il modo di adattarsi bene a situazioni oggettivamente drammatiche come incidenti, lutti, calamità naturali ed altri eventi traumatici in generale.
La resilienza è, dunque, una funzione psichica che si modifica nel tempo in rapporto all’esperienza, ai vissuti e, soprattutto, al cambiamento dei meccanismi mentali che la sottendono.
In genere, le persone più resilienti, e che quindi più spesso riescono a fronteggiare meglio le avversità della vita, presentano:

1.Impegno, ovvero la tendenza a lasciarsi coinvolgere nelle attività.
2.Locus of control interno, la convinzione di poter dominare gli eventi che si verificano al punto da non sentirsi in balia degli stessi.
3.Gusto per le sfide, ossia predisposizione ad accettare i cambiamenti senza viverli come problematici.

Impegno, controllo e gusto per le sfide sono caratteristiche della persona di cui si può avere consapevolezza e perciò possono essere coltivate e incoraggiate. Per questo, la resilienza non è una caratteristica che è presente o assente in un individuo; come già descritto precedentemente essa presuppone comportamenti, pensieri ed azioni che possono essere appresi da chiunque.
Gli individui resilienti trovano in loro stessi, nelle relazioni umane, e nei contesti di vita, quegli elementi di forza per superare le avversità, definiti fattori di protezione, i quali sono contrapposti ai fattori di rischio, che invece diminuiscono la capacità di sopportare il dolore.

Secondo Werner e Smith (1982) tra i fattori di rischio che espongono a una maggiore vulnerabilità agli eventi stressanti, diminuendo la resilienza, troviamo:
I fattori emozionali (abuso, bassa autostima, scarso controllo emozionale), interpersonali (rifiuto dei pari, isolamento, chiusura);
I fattori familiari (bassa classe sociale, conflitti, scarso legame con i genitori, disturbi nella comunicazione);
I fattori di sviluppo (ritardo mentale, disabilità nella lettura, deficit attentivi, incompetenza sociale).

Tra i fattori protettivi gli stessi autori ne individuano di individuali e familiari.
Tra i fattori individuali, l’essere primogenito, un buon temperamento, la sensibilità, l’autonomia, unita alla competenza sociale e comunicativa, l’autocontrollo, e la consapevolezza e fiducia che le proprie conquiste dipendono dai propri sforzi (locus of control interno).
A questi si aggiunge una risorsa di estrema importanza: il comportamento seduttivo, che consente di essere benvoluti e di riconoscere e accettare gli aiuti che vengono offerti dall’esterno.
I fattori protettivi familiari comprendono l’elevata attenzione riservata al bambino nel primo anno di vita, la qualità delle relazioni tra genitori, il sostegno alla madre nell’accudimento del piccolo, la coerenza nelle regole, il supporto di parenti e vicini di casa, o comunque di figure di riferimento affettivo.

In particolare, esplorando i fattori protettivi, è possibile individuare cinque componenti che contribuiscono a sviluppare la resilienza (Cantoni, 2014):

1.L’ottimismo, ovvero la disposizione a cogliere il lato buono delle cose; è un’importantissima caratteristica umana che promuove il benessere individuale e preserva dal disagio e dalla sofferenza fisica e psicologica. Chi è ottimista tende a sminuire le difficoltà della vita e a mantenere più lucidità per trovare soluzioni ai problemi (Seligman, 1996).
2.L’autostima, che si accoppia all’ottimismo. Avere una bassa considerazione di sé ed essere molto autocritici, infatti, conduce a una minore tolleranza delle critiche altrui, cui si associa una quota maggiore di dolore e amarezza, aumentando la possibilità di sviluppare sintomi depressivi.
3.La robustezza psicologica (Hardiness), a sua volta scomponibile in tre sotto-componenti: il controllo (la convinzione di essere in grado di controllare l’ambiente circostante, mobilitando quelle risorse utili per affrontare le situazioni), l’impegno (con la chiara definizione di obiettivi significativi che facilita una visione positiva di ciò che si affronta) e la sfida, che include la visione dei cambiamenti come incentivi e opportunità di crescita piuttosto che come minaccia alle proprie sicurezze.
4.Le emozioni positive, ovvero focalizzarsi su quello che si possiede invece che su ciò che ci manca.
5.Il supporto sociale, definito come l’informazione, proveniente da altri, di essere oggetto di amore e di cure, di essere stimati e apprezzati. E’ importante sottolineare come la presenza di persone disponibili all’ascolto sia efficace poichè mobilita il racconto delle proprie sventure. Raccontare è liberarsi dal peso della sofferenza, e l’accoglienza gentile e senza rifiuti o condanne da parte degli altri segnerà il passaggio da un racconto tutto interiore, penoso e solitario (che può sfociare in forme di comunicazione delirante) alla condivisione partecipata dell’accaduto.

In definitiva, ciò che determina la qualità della resilienza sta nella qualità delle risorse personali e dei legami che si sono potuti creare prima e dopo l’evento traumatico. Parlare in termini di resilienza vuol dire modificare lo sguardo con cui si leggono i fenomeni e superare un processo di analisi lineare, di causa ed effetto, per cui non è più corretto ragionare dicendo per esempio: “E’ stato gravemente ferito, quindi è spacciato per tutta la vita!”

Non tutti hanno la stessa forza o la giusta dose di resilienza per poter affrontare in modo funzionale e positivo un grosso cambiamento, come ad esempio quello subito in questo periodo di pandemia improvvisa.
Persone particolarmente vulnerabili, potrebbero non sopportare le misure di contenimento e di isolamento.
Di conseguenza, potrebbero sperimentare ansia, panico, depressione e ritiro sociale in misura tale da renderle disfunzionali nella vita quotidiana, incapaci di gestire la situazione, prendersi cura di sé e degli altri.
Pertanto, se senti che da solo non ce la fai ad affrontare le tue paure, se senti il bisogno di un sostegno più massiccio e sicuro, non esitare a ricercare un aiuto professionale contattando uno psicologo o uno psicoterapeuta che possano aiutarti a gestire il tuo disagio e ad acquisire le risorse per poter vivere meglio in questo momento difficile.