Piccoli amici: il rapporto con gli animali domestici

Moltissime persone scelgono di condividere la propria vita con un animale domestico: l’Italia è il secondo Paese dell’UE per presenza di animali da compagnia con circa il 53% dei cittadini che convivono con un animale (Ansa, 2019). Inoltre, il rapporto con il proprio coinquilino a quattro zampe rappresenta un aspetto molto importante per la maggioranza delle persone: investono tempo e denaro per il benessere del loro animale domestico e condizionano le proprie scelte per garantire tale benessere (decisioni abitative, come gestire il tempo libero, come organizzare le vacanze).

Questa tematica suscita opinioni contrastanti: c’è chi, anche sulla base della propria esperienza, non ha dubbi sull’impatto positivo del rapporto con un animale domestico sulla propria vita e chi invece ritiene che si possa degenerare in un atteggiamento eccessivamente morboso.

Dunque, da un punto di vista psicologico, quali riflessioni si possono fare? Moltissimi studi confermano l’assoluta profondità affettiva che si instaura tra un essere umano e un animale domestico. Una ricerca recente condotta dall’Università di Manchester (Brooks et al. 2018) ha rilevato come il rapporto con il proprio animale da compagnia fosse fonte di fondamentale supporto emotivo per persone con disturbi mentali, alleviando le sofferenze e l’isolamento collegati alla condizione patologica della persona.

Il ricorso a protocolli di Pet Therapy è una pratica consolidata in moltissime situazioni di malessere e difficoltà, proprio per i riconosciuti benefici dell’interazione con gli animali.

Cosa succede dunque quando entriamo in contatto con un animale da compagnia? La nostra sfera emotiva viene stimolata, attingiamo a modalità di comunicazione diversificate, produciamo ossitocina e siamo portati, dunque, ad accrescere la nostra capacità empatica e di fiducia verso gli altri, oltre che il nostro senso di responsabilità verso un altro essere vivente. Alcune caratteristiche che percepiamo negli animali sono collegate a questi impatti positivi: l’animale non emette giudizi verso l’essere umano e questo ci permette di sentirci liberi di essere completamente noi stessi e di sentirci accettati. Pertanto, amore, lealtà e tenerezza contraddistinguono il rapporto con l’animale domestico, arricchendo la vita affettiva e rappresentando un fattore protettivo del benessere psicologico.

Naturalmente per godere di questa profondità in modo sano, è necessario considerare l’animale nelle sue caratteristiche reali, senza proiettare su di esso un’eccessiva umanizzazione. Esattamente come gli animali si relazionano a noi per come siamo e per come ci comportiamo con loro, allo stesso modo dovremo rapportarci e dare affetto a loro per ciò che sono, rispettandone la natura.

Non è, ovviamente, indispensabile avere un animale per accrescere il proprio benessere e le proprie capacità relazionali, ma per chi si sente predisposto ad occuparsi di un piccolo compagno a quattro zampe, potrà essere un’importante occasione per dare spazio a parti di sé ed emozioni anche molto intense.

Perfezionismo: quando nulla è mai abbastanza

Dare il massimo e cercare di raggiungere risultati importanti rappresenta un atteggiamento utile in molte situazioni, che ci aiuta ad impegnarci con energia e determinazione. Tuttavia, è necessario distinguere un sano investimento sui propri obiettivi dal perfezionismo patologico.

Infatti, porsi aspettative eccessivamente elevate e rigide può generare un meccanismo disfunzionale, che si accompagna a difficoltà emotive e psicologiche (vissuti ansiosi, depressivi, pensieri ossessivi).

Ecco alcune caratteristiche ricorrenti nel perfezionismo patologico:

  • Standard irrealistici (rispetto a obiettivi, immagine di sé, comportamenti)
  • Paura del fallimento
  • Percezione degli errori come segnali di evidente inadeguatezza di sé stessi
  • Giudizi negativi su di sé, abbassamento dell’autostima (non si è mai sufficientemente bravi, nulla è mai abbastanza)
  • Pensiero assoluto: un errore diviene una mancanza imperdonabile e alimenta la credenza di non riuscire a farcela
  • Timore del giudizio altrui e sensibilità alle critiche
  • Sovrastima degli errori/obiettivi non raggiunti rispetto agli esiti positivi ottenuti

Quando si è in presenza di questi aspetti, la persona è imprigionata in una costante svalutazione di sé, proprio perché le aspettative (proprie o percepite negli altri) sono irrealizzabili e puntate ad una perfezione che non potrà mai essere raggiunta.

Queste persone vivono ogni situazione con un livello di ansia più elevata rispetto agli altri, poiché è in gioco il proprio valore e si espongono a sentimenti depressivi, sentendosi spesso non all’altezza. In linea con ciò, il perfezionista teme di deludere gli altri, pensando che la loro stima possa essere facilmente perduta.

Inoltre, è coinvolto un meccanismo di controllo: spesso chi vive il perfezionismo patologico, utilizza eccessive energie e tempo per prepararsi alle varie situazioni, sperando di poterne così determinare l’esito.

Tutto questo porta il perfezionista a perdere il piacere e l’investimento positivo in ciò che fa, intrappolato dai propri stessi standard.

In alcuni casi, la fatica emotiva è tale da associarsi a situazioni di difficoltà psicologica, forte ansia, rinuncia ed evitamento (la persona può sentire di non riuscire a raggiungere il livello che vorrebbe, arrivando a procrastinare un’attività e bloccarsi per timore del fallimento).

In queste situazioni, un percorso psicologico e psicoterapeutico è utile per a comprendere l’origine del proprio perfezionismo e giungere a modalità più funzionali per il proprio benessere.

Per contrastare questi meccanismi è necessario interrogarsi su che cosa basiamo il nostro valore e costruire un’accettazione più solida di sé, con un sentimento autentico di autostima per ciò che si è. Ad esempio, riconoscendosi il diritto di non essere perfetti o infallibili, interpretando gli errori come parte del fisiologico processo che porta ad un certo risultato e utilizzando verso se stessi un giudizio meno rigido e severo. 

L’insonnia: uno sguardo ad un disturbo frequente e dalle molte sfaccettature

Si stima che in Italia circa un terzo della popolazione adulta presenti sintomi di insonnia (Associazione Italiana Medicina del Sonno), riportando manifestazioni di vario genere: difficoltà ad addormentarsi, interruzioni del sonno ripetute nel corso della notte, risveglio anticipato nelle prime ore del mattino.

Situazioni di questo tipo, quando pervasive, rappresentano fonte di grande disagio per le persone che ne sono affette, creando ripercussioni sulle proprie attività quotidiane.

Da un punto di vista psicologico, la qualità del sonno rappresenta un importante indice dello stato mentale della persona, poiché i disturbi in questa sfera spesso sono legati a circostanze stressanti, eventi traumatici, ansia, disagio emotivo.   E’ necessario distinguere tra l’insonnia situazionale e l’insonnia cronica. Nel primo caso si è di fronte a una manifestazione strettamente legata a condizioni esterne che la persona sta vivendo, quindi è generalmente temporanea e circoscritta e c’è maggiore probabilità che si sia consapevoli del legame causale con ciò che sta avvenendo. In tal senso, il cambiamento della situazione o l’elaborazione di strategie di reazione più funzionali anche attraverso percorsi di supporto psicologico, consentono di superare l’insonnia.

Al contrario quando il disturbo è persistente, presentando cronicità, il quadro diagnostico e di intervento, diviene più complesso.  Possono esserci casi in cui l’insonnia è legata a condizioni mediche, patologie organiche che influenzano il sonno della persona, soprattutto in presenza di una sintomatologia dolorosa (i pazienti oncologici spesso vedono una riduzione della loro qualità del sonno in conseguenza delle sofferenze fisiche associate alla loro condizione).  Altri casi ancora, riguardano l’insonnia idiopatica o primaria, in cui la persona riporta di avere sempre sofferto di difficoltà a raggiungere o mantenere l’addormentamento. In queste ultime situazioni è ipotizzabile il coinvolgimento di meccanismi cerebrali e neurologici nella regolazione sonno-veglia (Lavie,1999).

In altri casi si osserva l’associazione tra disturbi del sonno e forme di disagio psicologico più o meno gravi, fino ad arrivare ad effettive manifestazioni psicopatologiche. Un elemento fortemente connesso con la difficoltà ad addormentarsi è l’ansia, legata a stati interni di tensione, preoccupazione, pensieri ricorrenti, inquietudine. In molte patologie mentali la persona vive stati d’ansia, dall’intensità variabile, che impattano sulla sua capacità di rilassarsi nel momento dell’addormentamento.

Una delle condizioni cliniche più studiate in relazione alla qualità del sonno è la depressione. Le persone affette da questa patologia, mostrano configurazioni uniche del sonno, tanto che la presenza di disturbi del sonno diviene un’indicazione diagnostica importante nell’identificare la presenza di depressione. Circa l’80% dei pazienti depressi mostra una riduzione significativa di sonno profondo e risvegli anticipati con difficoltà o impossibilità a riaddormentarsi e il 15% presenta ipersonnia, cioè dorme un numero di ore di sonno superiori a quanto necessario (Franzen & Buysse, 2008).

Alla luce di quanto visto finora, per affrontare l’insonnia è necessario compiere una diagnosi puntuale delle cause del disturbo, facendo riferimento a 4 aspetti fondamentali  (Lavie, 1999): la forma del disturbo (difficoltà nell’addormentamento, interruzioni del sonno, risveglio anticipato o una combinazione di questi sintomi); le circostanze e il momento della comparsa; la gravità (persistenza, cronicità o alternanza con momenti in cui non si manifesta) ; in che misura influenza le attività quotidiane.

Qualsiasi intervento per risolvere l’insonnia ha l’obiettivo di superare gli ostacoli al sonno poiché “è impossibile obbligare qualcuno a dormire” (Lavie, 1999) e, quindi, diviene fondamentale comprendere cosa impedisca al sonno di sopraggiungere naturalmente e in modo spontaneo.

Per chi soffre di insonnia, un passaggio necessario sarà quello di iniziare un percorso diagnostico per individuare le specifiche cause del suo disturbo. Nei casi in cui è implicata una condizione psicopatologica o di disagio emotivo, è auspicabile intraprendere un percorso psicoterapeutico che, affrontando il disturbo mentale e la sofferenza psicologica  connessa, porterà la persona a ritrovare un’adeguata qualità del sonno.

Oltre a ciò, strumenti terapeutici per la cura dell’insonnia, si ritrovano in tecniche di rilassamento, meditazione, biofeedback che aiutano il paziente a superare stati di tensione, emotiva e muscolare, che ostacolano l’addormentamento.  Inoltre è utile seguire le indicazioni per una buona igiene del sonno, quindi divenire consapevoli di comportamenti che non favoriscono un’adeguata qualità del sonno (andare a letto quando ci si sente pronti a dormire e non troppo presto, “forzandosi” all’addormentamento; evitare abitudini controproducenti nella fase antecedente al sonno, come l’assunzione di cibi di difficile digestione, o quella di sostanze eccitanti come caffè e nicotina; mantenere una regolarità negli orari).

Un ulteriore strumento utilizzato nella cura dell’insonnia è rappresentato dai farmaci. Sebbene essi possano essere di aiuto, è bene sottolineare l’importanza di assumerli solo dopo un’attenta valutazione da parte dei professionisti sanitari: vi sono grandi differenze a seconda del tipo di farmaco e la scelta deve basarsi su una puntuale analisi della situazione specifica. Inoltre, l’assunzione dei sonniferi deve essere realizzata secondo un programma stabilito e verificando eventuali effetti di tolleranza (dopo  un certo periodo di tempo la loro efficacia può calare) o di astinenza (nel caso di sospensione del farmaco).

VIOLENZA SULLE DONNE: L’INCUBO DENTRO LA PROPRIA CASA

La violenza domestica è un fenomeno tanto grave quanto diffuso. Esso è sommerso: moltissimi sono i casi in cui le donne che ne sono vittima non  sporgono denuncia contro il proprio partner, rimanendo nel silenzio.

Vivere una situazione di violenza domestica significa essere sottoposti costantemente ad un clima di tensione e di paura. Non bisogna mai dimenticare che per queste donne la casa è il luogo in cui esse divengono vittime; vittime di una persona che hanno sposato, con cui hanno una relazione affettiva, che, in una  parte dei casi, è il padre dei loro figli.

Sono donne umiliate regolarmente, svalutate sistematicamente, percosse e abusate. Quindi la violenza non è solo o sempre fisica, ma anche psicologica. Il risultato è una compromissione grave della loro autostima, del loro senso di auto-efficacia: viene minata l’integrità psichica, cosicché esse mettono in dubbio la propria percezione del mondo e di loro stesse,  vivendo una perdita della propria identità.

Quando il maltrattante è il partner, il piano dell’abuso e quello affettivo si sovrappongono, creando una profonda confusione nella donna, che si trova così in una condizione di ambiguità,  accettando comportamenti ed eventi che in altro contesto (anche psicologico) non avrebbe accettato; questo fa scaturire sentimenti di intensa vergogna che caratterizzano l’esperienza delle donne maltrattate.

Il mondo interno di queste donne è, quindi, frammentato, dominato dall’ambiguità, privato dei suoi punti di forza, svuotato di quelle percezioni su cui era costruito il senso di Sé della persona.

Walker (1979)  richiama la “teoria dell’impotenza appresa” (Psychosocial Theory of Learned Helplessness): la donna sperimenta ripetutamente una sensazione di non controllo della situazione, come se essa fosse al di fuori della propria capacità di influenza; dunque,  non può che subire le violenze, non c’è via di scampo. Queste percezioni portano ad un atteggiamento di pervasiva passività, cui consegue la mancanza di iniziativa a interrompere la relazione o ad agire per un cambiamento della condizione in cui si trova.

Uscirne è possibile, sebbene non semplice. Uno degli strumenti a servizio di donne maltrattate è rappresentato dai Centri Antiviolenza: strutture che offrono una varietà di servizi per le donne vittime di violenza, da linee telefoniche di emergenza, terapie psicologiche, assistenza sociale, corsi di formazione professionale e, in molti casi, sono in collegamento con rifugi o appartamenti a indirizzo segreto per le donne che decidono di lasciare il partner e necessitano di un alloggio sicuro. Fondamentali sono i percorsi di supporto psicologico e psicoterapia, realizzabili come terapie di gruppo o individuali. Nel gruppo la donna può ritrovare relazioni positive, superando l’isolamento sociale in cui spesso era confinate a seguito dell’abuso. Nelle psicoterapie individuali possono essere affrontate le conseguenze emotive e psicologiche specifiche legate alla violenza subìta. La  donna potrà riappropriarsi del senso di sé, della consapevolezza del proprio valore e dei propri punti di forza, acquisendo modelli relazionali positivi ed elaborando la sofferenza passata.

Blue Jasmine: il dolore del non-essere

Woody Allen è uno di quegli autori che dividono il pubblico: c’è chi non ne ha mai apprezzato stile, tematiche e linguaggi e chi lo ama, quasi incondizionatamente.  Difficile è porsi nel mezzo. Difficile soprattutto quando uno dei suoi film, Blue Jasmine appunto, presenta aspetti di incredibile finezza psicologica ma, al contempo, mostra i suoi limiti e qualcosa non funziona.

Sebbene la narrazione, alcuni dialoghi e i personaggi sullo sfondo non siano all’altezza e sappiano di già visto, la protagonista, Jasmine, tratteggiata con sapiente consapevolezza delle vie che il dolore mentale può intraprendere, vale la visione del film.

Leggi tutto “Blue Jasmine: il dolore del non-essere”

“Lei”: cosa è reale?

Una storia d’amore. Questo è ciò che è descritto nel nuovo film di Spike Jonze. Ma c’è di più. Le vicende si svolgono in anni futuri, ma non così lontani. E’ una riflessione sul nostro modo di vivere, in un’epoca in cui siamo circondati, influenzati dalla tecnologia. Siamo in costante relazione con la tecnologia. E l’autore porta in scena l’amore tra un uomo e un sistema operativo.

Leggi tutto ““Lei”: cosa è reale?”